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giovedì 28 agosto 2014

Il massacro di Srebrenica: "Come fossi solo"!


Tra il 12 e il 16 luglio 1995, a Srebrenica avvenne uno degli episodi più vergognosi della storia recente: un vero e proprio genocidio, condotto, nel contesto della guerra in Bosnia-Erzegovina, dalle truppe serbo-bosniache contro migliaia di musulmani bosniaci.
Non fu l'unico esempio di pulizia etnica avvenuto durante quel terribile conflitto, ma certamente esso fu il più efferato, anche per l'alto numero di vittime (c'è chi ritiene che furono circa 10.000!).

Ma uno degli gli aspetti più gravi, in tutto il triste episodio, fu certamente il MANCATO INTERVENTO dell'ONU!!!
Infatti, Srebrenica -teoricamente- si trovava sotto la protezione dell'ONU. Insieme ad altre città bosniache, era stata destinata al rifuigio di quei bosniaci, perlopiù musulmani, che erano stati costretti a fuggire dai massacri della guerra. 
Ancora oggi non sono chiari i motivi per cui le truppe delle Nazioni Unite non intervennero. Pare che esse fossero troppo poco armate e che non potessero far fronte alle forze avversarie, e che le vie di comunicazione tra le varie postazioni ONU non fossero tali da ovviare a ritardi e difficoltà nelle decisioni.
Questi i fatti "storici".

Ma per entrare nel vivo dell'episodio, per capirlo veramente, consiglio il romanzo E' Come fossi solo, di Marco Magini (Giunti Editore, 2014, 14 euro).


Si tratta di un romanzo, diviso in tre voci narranti: quella di un casco blu dell'Onu di stanza a Srebrenica, Dirk; di un membro del Tribunale penale internazionale che in seguito avrebbe giudicato i fatti, Romeo; e di uno dei serbo-croati che parteciparono al massacro, Dražen.
Il punto di vista più interessante è forse quello di Dražen
Quest'ultimo non si era arruolato per convinzione, ma per fame, per dare da mangiare alla sua famiglia: "la mia generazione", dice ad un certo punto, "era molto più interessata alla separazione dei Police che a quella della Repubblica Jugoslava. Federazione, confederazione, parole molto, molto lontane dai nostri pensieri". Invece, "adesso mi sento solo uno stupido che pensava che la guerra non lo avrebbe raggiunto, che l'avrebbe sentita solo nei racconti di chi era partito".
Dražen non riesce ad essere cinico e crudele come molti dei suoi compagni, ma non riesce neanche ad essere del tutto innocente. "La Storia ... è piena di eroi e di mostri. Ma lui non apparteneva a nessuna delle due categorie: davanti alla storia aveva scelto una terza via, una zona grigia".
Così, mentre per esempio i suoi compagni violentano una donna, per sopravvivere è costretto ad anestetizzare la sua umanità:
"La sento urlare e non dico niente.
La sento urlare e non faccio un passo.
La sento urlare e non provo niente.".
Anche lui è costretto a violentarla, alla fine, per non perdere del tutto il rispetto della sua compagnia, anche se viene sopraffatto dal disgusto, dall'odore del sangue, dalla bestialità con cui si deturpa un corpo praticamente morto.

Il 14 luglio, anche lui prende parte a una delle azioni del  genocidio. Ma non riesce a trattenere i sensi di colpa e il dolore. E sarà l'unico del suo battaglione a confessare di aver  partecipato a quel massacro. 
Ma quello che lascia più perplessi è che sarà l'unico ad essere condannato!!!
Cosa che svela tutte le ipocrisie che si nascondono dietro a quelli che dicono di voler garantire la pace e la giustizia del mondo. Ancora oggi.
Dietro la sua condanna ci sono motivi anche più profondi. Alcuni di ordine psicologico e morale: Dražen viene condannato "perché non doveva trovarsi lì ... perché questo è quello che succede quando ci si arruola nell'esercito". Purtroppo, a Srebrenica (ma come in tutte le guerre, aggiungo io), "l'unico modo per restare innocenti era morire".
Ma Dražen venne condannato anche perché condannare un soldato semplice croato, combattente in Bosnia per le armate serbe, poteva far comodo anche al governo serbo: "a Milosevic è stato offerto il perfetto paravento, l'occasione per mostrarsi collaborativo senza dovere consegnare i veri responsabili."

Alla condanna contribuisce il giudice Romeo, di cui viene dipinto il profondo travaglio interiore e il percorso che lo porta a quella decisione.
Inizialmente, l'ambizioso giudice non era stato molto contento di essere stato assegnato a quel tribunale: "gli avevano affidato un caso di cui non si sarebbe ricordato nessuno", e aveva capito che con esso non avrebbe avuto "la consacrazione che aveva sperato". Ma poi trova dei risvolti interessanti e drammatici: "Può esistere la giustizia degli uomini?", si chiede alla fine.

Ma restano mille perplessità anche sul comportamento dell'ONU. Perplessità svelate dai pensieri del casco blu Dirk: "Noi soldati siamo ormai alla deriva, troppo frustrati per riuscire a concentrarci su qualsiasi altra cosa fuori da noi stessi". 
Un altro soldato dice: "La nostra presenza è ridotta a paravento per l'incapacità della comunità internazionale". E lui: "Siamo nient'altro che spaventapasseri abbandonati in mezzo al campo, anche i corvi lo sanno e ci volteggiano intorno in attesa del momento per colpire". Poi aggiunge: "Ormai allo sbando, siamo stanchi, sporchi, impotenti e privi di ordini. Vaghiamo senza meta alla ricerca di un senso che non c'è." Prova a deresponsabilizzarsi, cerca di sentirsi "solo  un burocrate, un esecutore di scelte prese altrove".

Ma in fondo non ha torto. Le truppe ONU appaiono indecise e del tutto impotenti. I serbo-bosniaci lanciano i loro primi colpi di mortaio contro la città solo "per vedere  fino a che punto si possa tirare la corda con la Nato ... . E la comunità internazionale non ha tradito le sue attese, rimanendo immobile come previsto.".

Leggendo questo libro, mi è sembrato di riprendere in mano i vecchi romanzi di Calvino, Vittorini, Fenoglio, Pavese, dedicati al periodo della Seconda Guerra Mondiale. 
Ma questa guerra è recentissima! Almeno quelli della mia generazione (sono del 1972), la riocordano bene. E anche i più giovani ne avranno sentito parlare spesso. Eppure, sono sicuri che siano pochi quelli che sanno del massacro di Srebrenica
Per questo, fa bene leggere un libro come questo!
Soprattutto ora, che siamo circondati da nuove guerre, di cui sentiamo parlare nei tg o leggiamo su internet, ma di cui forse non riusciamo a capire la sostanza.

"La guerra capovolge l'idea di felicità", dice Dražen. Tanto da spingere gli uomini a trovare "conforto nella routine imposta dall'esercito".
Non vorrei che anche noi, nel quotidiano resoconto dei conflitti di oggi, fossimo entrati nel gorgo di una routine, quella che sentiamo ogni sera e che quasi non ci colpisce più!

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